Interpretazione
Antonino Cardillo
Chi giunge a liberare la prigioniera e a conquistare il tesoro, entra in possesso dei tesori dell’anima, che non sono solo desideri, immagini di qualcosa che uno non ha e che vorrebbe avere, bensì precisamente immagini di possibilità, cioè di qualcosa che uno può e deve avere. Il compito dell’eroe e di risvegliare queste immagini, “che vogliono e debbono uscire dalla notte”, per “conferire al mondo un volto migliore”. — Erich Neumann
All’inizio del 1900, l’Enciclopedia Britannica osservava che la forma dell’isola di Sicilia non fosse assimilabile a un triangolo, ma doveva esistere un ‘quarto lato’: una parte di costa orientata a ponente distesa tra le città di Trapani e Marsala. Cinque secoli prima, Cristoforo Buondelmonti rappresentava l’isola di Sicilia con una successione di arcate. Ciascuna arcata, una convessità d’acqua. Anche il ‘quarto lato’ del triangolo disponeva di una sua convessità costellata da piccole e grandi isole nel tramonto, sulla Laguna dello Stagnone. Queste antiche cartografie raccontano l’impressione che la Terra sedimenta nell’Anima. Oggi, nello stesso luogo, una convessità descrive una piazza affacciata su di un piccolo porto-canale: Mammacaura, immagine della Laguna dai viaggiatori del passato.
La percezione dei luoghi non accade nella metrica. I luoghi sono accadimenti e il profondo che ci abita ne viene segnato. Questi segni non corrispondono esattamente lo spazio e il tempo ed, a volte, il segno diviene simbolo. Con il nome Mammacaura, i salinai chiamano il sedimento prodotto dal processo di cristallizzazione del sale per evaporazione solare, sul fondo delle vasche delle saline della Laguna dello Stagnone. Caratterizzato da una proprietà incollante, questo nome potrebbe rivelare una proiezione psichica inconscia dell’immagine archetipica della madre terribile – una costante dell’isola di Sicilia – che imprigiona l’Essere in un cerchio d’immutabilità. Quest’opera di architettura non ricostruisce un passato possibile ma interpreta un luogo. Una piazza-esedra di 1.000 metri quadrati rappresenta l’emersione di un contenuto latente nel sito: quello della ‘Grande Madre’. Così, un insieme di costruzioni di pietra calcarenite gialla, metodologicamente derivato per analogia dall’ecosistema antropico della salina, invera un possibile dialogo con l’ambiente circostante. All’interno di un fabbricato cubico, è stata modulata la forma di un banco-bar rivestita da tre coppie di lastre di granito rosa e smalto lucido rosa-cremisi sui terminali stondati in pianta ad arco. Secondo Giuseppe Pipitone – l’imbianchino che ha dipinto lo smalto nella sala – questo insieme di cose “è come una regina dentro un castello.” Spesso l’architettura è la rappresentazione del Male. L’architettura porta un paradosso: è costruita dagli oppressi per celebrare gli oppressori. L’architettura non crea cose nuove ma costruisce sensi e significati dalla combinazione delle ‘cose’ del mondo. L’architettura, dunque, è un’interpretazione del mondo. Liborio Perrone ha 52 anni ed è il muratore che ha costruito le parti di pietra di quest’opera di architettura. Salinaio sin da giovane, per tutta la sua vita ha operato sulle saline di Ettore e Infersa e di Isola Lunga. Discendente di una generazione di operai di salina, Liborio Perrone è la salina stessa. Ciò che sa, e ciò che fa, non può che derivare da una filogenesi di costruzioni del passato. L’origine delle saline di Marsala e Trapani è sconosciuta. Un possibile indizio è la presenza dell’isola fenicia di Mothia posta al centro della Laguna dello Stagnone. Forse che questa filogenesi conduca all’antico Egitto? Così, su questo pregresso antropico, la metodologia di attuazione del progetto è stata quella di un’investigazione. I novanta giorni di cantiere si sono rivelati un viaggio di integrazione di contenuti arcaici e inconsci. Ed, a sua volta, il mastro-salinaio Liborio Perrone è divenuto l’interprete di quest’opera di architettura.
Testo pubblicato per la prima volta in Casabella,[↗] n. 925, Milan, 3 Sett. 2021, p. 10.
Riferimenti
- George Goudie Chisholm, Gatano Mosca, Thomas Ashby, ‘Sicily: note 1’,[↗] in The Encyclopædia Britannica, 11ᵃ ed., vol. XXV, Cambridge-New York, 1911, p. 20.
- Cristoforo Buondelmonti, ‘Sicilia latino nomine dicta de greco vocabulo Sichilia habita’,[↗] in Liber Insularum Arcipelagi, Bibliothèque Nationale de France, Parigi, secolo XVI, Fonds latin, Lat. 4823.
- Erich Neumann, ‘Uroboros’[↗] e ‘Die große Mutter’,[↗] in Ursprungsgeschichte des Bewusstseins, Zurigo, 1949; ed. it., Storia delle Origini della Coscienza, Astrolabio, Roma, 1978, pp. 53, 90 e 189.
- Mark Kurlansky, ‘Fish, Fowl, and Pharaohs’,[↗] in Salt: A World History, Penguin Books, Londra, 2002; ed. it., Sale: una Biografia, Rizzoli, Milano, 2003, p. 49.
- Joseph Isaac Spadafora Whitaker, Motya, a Phoenician Colony in Sicily,[↗] G. Bell & Sons, Londra, 1921.
- Josephine Crawley Quinn, ‘Melqart’s Mediterranean’, in In Search of the Phoenicians,[↗] Princeton University Press, 2017, pp. 113-131.
Dati
- Tempo: lug.–dic. 2020 (progetto), gen.–apr. 2021 (costruzione), mag. 2021 (fotografia), giu.–ago. 2021 (testo)
- Luogo: Mamma Caura, Saline Ettore e Infersa, Laguna dello Stagnone, Marsala, Italia
- Area: 1.000 m² (due piani)
- Tipologia: imbarco
Crediti
- Paesaggistica, architettura, direzione costruzione: Antonino Cardillo
- Committente: Saline Ettore e Infersa S.r.l.
- Impresa di costruzioni: VR Costruzioni Birgi Novi (responsabile: Vito Russo)
- Capomastro opere esterne: Liborio Perrone
- Capomastro opere interne: Salvatore Pellegrino
- Movimento terra: Francesco Pedone
- Muratori: Francesco Angileri, Vito Pinto, Pietro Rondello, Vito Zeferino
- Pitturazione: Lorenzo Buscarino, Salvatore Gangitano, Giuseppe Pipitone
- Impianto elettrico, idraulico e aeraulico: Giacomo Casano, Francesco Chirco, Claudio Donato
- Graniti: Francesco Di Trapani
- Lavorazione pavimento: Baldo Incandela
- Porte: Giuseppe Ales
- Progetto attrezzature bar: Vito Pietroburgo
- Produzione attrezzature bar: Giacomo Sardo
- Bancone bar: Antonino Cardillo
- Fotografia, testo: Antonino Cardillo
- Grazie a Elio Naso