Opera
Antonino Cardillo
Un acquario è fondamentalmente una casa per i pesci. Se questa casa avrà cura dei suoi abitanti marini sarà probabilmente anche una buona architettura. Tale presupposto si realizza nell’idea di costruire delle vasche, analoghe per dimensioni e forma all’habitat naturale, divenendo così pretesto per l’elaborazione di cavità fluide, modellate attraverso l’ausilio delle curve e delle superfici nurbs, rappresentazione matematica che definisce accuratamente solidi e superfici con forma libera od organica. Sospese sull’acqua, nel denunciare le loro forme allo spazio esterno, plasmano ingrottati fruibili dalle piccole barche dei pescatori. Nell’intenzione di essere più discreta e rispettosa possibile degli ecosistemi acquatici, la fruizione dei visitatori avviene tramite una galleria tubolare pressurizzata. Sviluppata lungo una circonferenza di 800 metri, realizza una passeggiata continua che attraversa il complesso architettonico dall’ampio e lucente Foyer alle sfuggenti e misteriose cavità acquatiche. Questo sistema di fruizione inverte la convenzionale gerarchia tra singoli invasi e percorsi, risultato di una visione della vita biologica rigidamente suddivisa per classi e settori. Pertanto le cavità acquatiche per i pesci costituiscono i due terzi dell’edificio e la fruizione dell’uomo è ridotta al solo percorso anulare, relativamente piccolo nel rapporto tra le parti. Nell’intenzione di innescare una sinergia tra l’esperienza dentro gli ecosistemi marini e il luogo esterno nel quale è posto l’acquario, inoltre, nelle pause tra i contenitori principali, le pareti vitree della galleria sospese sul Mediterraneo a circa venti metri d’altezza, regalano ampie e luminose visioni sull’arcipelago di isolette che sfumano verso il tramonto, sino a condensarsi sulle tre croste delle Egadi all’orizzonte. Nel percorso anulare inizio e fine coincidono sul piano pavimentale del Foyer. Levitante a venti metri sul mare in esso entità razionali e irrazionali si manifestano in una serrata dialettica. Il concetto che sottende la composizione è derivabile dal Padiglione Americano di Buckminster Fuller realizzato per l’Expo di Montréal del 1967: un insieme di edifici aperti racchiusi in una struttura reticolare geodetica. Differisce nella modalità di plasmare e raccontare lo spazio e quindi nel linguaggio. Qui l’entità platonica di Fuller è sostituita da un indefinibile velo steso tra la Torre Bianca del Dipartimento di Biologia Marina e il mare. Condensato formalmente e strutturalmente da un sistema di aste metalliche esitanti un guscio rigido, avvolge lo spazio in un’estensione di concavi e convessi. Dentro, una danza quasi neoplastica di oggetti elementari. Il loro stare nello spazio non implica una gerarchia, ma un’invisibile rete di risonanze che costruisce l’architettura. Alcuni trovano la loro ragion d’essere inverando le funzioni del Foyer: reception, lounge, ringhiere, ascensore navetta e scale. Altri, come in un villaggio verticale, sono veri e propri edifici nell’edificio che, in serrata successione, si affacciano vertiginosamente sulla piattaforma del Foyer. Un piano ricurvo traforato e verde avvolge gli interni di Caffetteria e Libreria, estesi su due livelli e accessibili attraverso un piccola scala dal Foyer. Gli spazi adibiti agli studi scientifici dentro la Torre Bianca, infine, realizzano l’integrazione tra intrattenimento e ricerca.
Testo pubblicato per la prima volta in Un’architettura sulla marina di Trapani: Let There Be More Light / Aquarium (pdf), tesi, Università di Palermo, mar. 2002, pp. 6‑8.
Dati
- Tempo: gen.–mar. 2002
- Luogo: Viale Regina Elena, Trapani, Italia
- Area: 9.500 m² (quattordici piani)
- Tipologia: acquario
Crediti
- Architettura: Antonino Cardillo
- Scuola: Facoltà di Architettura, Università di Palermo (relatore tesi di laurea: Giovanni Sarta)