Opera
Antonino Cardillo
Il distacco dall’edificio preesistente, reso evidente dalla fessura inserita tra la vecchia e la nuova compagine muraria, assume quasi il tono di un espediente da “restauro scientifico” […]. Evitato il condizionamento che poteva derivare da una connessione strutturale, l’Alberti conquista un altro grado di libertà e può impostare il suo discorso geometrico senza vincoli rilevanti. — Paolo Portoghesi
Spesso cinema ed architettura trovano un comune denominatore nell’allegoria, per cui un concetto astratto viene espresso attraverso un’immagine. Nel film di David Lynch L’Impero della Mente, la protagonista Nikki sovrappone la propria identità al ruolo dell’attrice che sta recitando. Le strutture narrative delle due vite si confondono. Più si va avanti, più diviene difficile discernere dove finisce la vita di Nikki ed inizia quella di Sue (ruolo recitato). Simulazione e realtà si sovrappongono. E quest’atto di sovrapposizione di significati all’interno di uno stesso nucleo identitario apre alla percezione prospettive prima celate e, così, ciascuna vita muta di significato. L’allestimento temporaneo qui presentato tenta una traslitterazione di questa idea del film di Lynch: l’architettura per Sergio Rossi crea un gioco di rimandi tra ordini ideali e reali, tra interni ed esterni. Si sovrappone, dialogando, alle diverse identità del luogo: dal contorno del negozio esistente, al fondale urbano della medievale Chiesa del Carmine, ai brani decorativi Art Nouveau dei palazzi vicini. Così, le relazioni oltre ad accadere nello spazio, si estendono anche nel tempo, nel dialogo, che è anche interpretazione, con i segni esistenti. L’idea dell’inserimento di un edificio dentro un altro, è oltretutto un tema ricorrente dell’architettura del passato: dalla medioevale schola cantorum della Basilica di Santa Maria in Cosmedin in Roma, a Leon Battista Alberti che, nel Tempietto a Firenze, simula una miniatura del Santo Sepolcro di Gerusalemme dentro un’ampia sala, alle esperienze barocche delle camere di luce e delle quinte sceniche del teatro, sino a giungere ai neoclassici canopies di John Soane che, ispirati dal non finito delle rovine romane, sembrano fluttuare in uno spazio fatto di luce. Suggerito dai telai effimeri delle scenografie, questo sistema costruttivo viene qui riproposto secondo una metrica mutuata dal razionalismo milanese del Novecento. Ma la natura razionalista di questo recinto è messa in discussione dalle contraddizioni che si determinano tra le diverse identità che abitano lo spazio: quella dell’istallazione vera e propria, quella residuale del locale esistente resa omogenea da una tinta grigio-blu, e quella dell’urbano di Brera, scandita dall’episodico passaggio del tramvai. Così lo spazio interno si propone al fruitore secondo un progressivo disvelamento di ambiti diversi e parzialmente nascosti che suggerisce una via alternativa al convenzionale interno open-space, il quale, offrendosi sin da subito alla vista, spesso inibisce l’immaginazione.
Testo pubblicato per la prima volta in L’Arca (pdf), n. 264, Milano, dic. 2010, p. 92.
Dati
- Tempo: feb.–mar. 2010 (progetto), mar.–apr. 2010 (costruzione), apr. 2010 & feb. 2011 (fotografia), mag. 2010 (testo), ott. 2013 (demolizione)
- Luogo: Sergio Rossi, Via Ponte Vetero, 19, Milano, Italia
- Area: 60 m² (due piani)
- Tipologia: negozio
Crediti
- Architettura, direzione costruzione: Antonino Cardillo
- Contratti: Miriam Romano
- Committente: Sergio Rossi (direttore: Christophe Melard; direttore artistico: Francesco Russo; marketing: Xavier Rougeaux), Wallpaper* (direttore: Tony Chambers; curatore: Suzanne Trocmé)
- Contraente generale: Buzzoni
- Disegno mobili, lampade: Antonino Cardillo
- Lampada da terra: Joe Colombo, Oluce
- Fotografia, testo: Antonino Cardillo
- Grazie a Suzanne Trocmé
Riferimento
- Paolo Portoghesi, ‘Il Tempio Malatestiano’, Portoghesi. Leggere e Capire l’Architettura, Newton Compton Editori, Roma, 2006, p. 198, 200.