Cardillo

architettura

Dacci oggi il nostro incanto quotidiano

Londra, 

Ana Araujo interpreta i progetti Verde Crepuscolare, Min e Casa della Polvere di Cardillo come Immagini Ancestrali psicologiche sulla rivista Design Exchange

Design Exchange 12/1

Lettura

In opposizione alle tendenze più comuni nell’arte, nel design e nell’architettura, solitamente ossessionate dal contemporaneo e occupate da una continua reinterpretazione, traduzione, reiterazione (e quindi conferma) del presente, troviamo oggi una corrente sotterranea di artisti (tra i quali mi includo) in questi campi che sembrano non preoccuparsi affatto della realtà. Il loro lavoro può essere interpretato come nostalgico, fantasioso. La loro posizione (politica, sociale), ingenua nella migliore delle ipotesi; se non alienata o disimpegnata.

Non è la prima volta nella storia che assistiamo a una tale opposizione. Circa un secolo fa, due straordinarie scrittrici coltivarono una rivalità a lungo termine su una questione simile. Virginia Woolf, come sappiamo, era allora il modello dell’artista contemporaneo (o moderno); una donna del suo tempo, una femminista risoluta, una persona di convinzioni politiche e sociali. La sua rivale, Vernon Lee, era invece una persona che sembrava abitare la dimensione ultraterrena del soprannaturale: un’esploratrice nel territorio dei miti e delle favole. Riferendosi a Lee, Virginia Woolf disse: “Mi gira la testa con Vernon Lee, di cui ho dovuto scrivere una recensione. Che donna! È come un bambino loquace.” Lee sembrava preoccuparsene poco. Accusata dai suoi oppositori di essere un po’ snob, forse capiva semplicemente, in silenzio, che i valori che promuoveva erano in qualche modo più profondi e reali della cosiddetta realtà. Curiosamente, i suoi racconti rimangono oggi incredibilmente rilevanti, vividi e stimolanti. L’arte di Lee, vecchio stile fin dall’inizio, non sembra invecchiare.

Araldica

Timur D’Vatz, Araldica, 190x235cm, Londra, 2013.

A distanza di oltre cento anni, il lavoro del pittore russo Timur D’Vatz sembra dare forma visiva a qualche racconto di Lee. Popolati da creature languide e motivi fantastici, ci trasportano in un mondo che sappiamo non esistere, ma al quale allo stesso tempo sentiamo di appartenere. Di cosa è fatto questo mondo? È costituito dalle meraviglie del nostro complesso e variegato bagaglio culturale; un pandemonio di immagini, ricordi, racconti e storie, disordinatamente impresse nelle nostre anime (ci sembra che siano sempre state lì), e alla fine organizzate – visivamente, linguisticamente, spazialmente, acusticamente – dall’Arte (in tutte le sue forme). Freud chiamerebbe questo pandemonio il nostro inconscio: la fonte del nostro dolore e piacere più profondi, il contenuto con cui costantemente lottiamo per darvi un senso. Era, credo, in uno spirito simile che un controverso architetto tedesco del XIX secolo, Gottfried Semper, sosteneva che la vera funzione dell’arte non fosse quella di tradurre la realtà, ma di distruggerla; che questo fosse l’unico modo in cui un’opera d’arte potesse essere veramente appagante. “Ogni creazione artistica, ogni piacere artistico, presuppone un certo spirito carnascialesco, o per esprimerlo in modo moderno, la foschia delle candele del carnevale è la vera atmosfera dell’arte. La distruzione della realtà, del materiale, è necessaria affinché la forma emerga come simbolo significativo, come una creazione umana autonoma.”

Verde Crepuscolare

Antonino Cardillo, Verde Crepuscolare, Mondrian Suite Art Gallery, Roma, 2014. Fotografia: Antonino Cardillo

Lo spirito carnascialesco di Semper pervade l’intera opera dell’architetto siciliano Antonino Cardillo. La sua galleria Verde Crepuscolare a Roma evoca l’ambientazione di un antico rituale sacrificale. Egiziano? Greco? Romano? Non è molto importante, perché una volta che queste immagini ancestrali vengono depositate nel nostro inconscio, vengono svuotate della loro specificità storica; come nei nostri sogni, l’unico legame che rimane è quello emotivo. Allo stesso modo, le sculture Min di Cardillo, ispirate all’omonimo dio egiziano della fertilità, danno forma a quella che potrebbe essere considerata un’immagine contemporanea di un talismano; un magnete simbolico, un oggetto impregnato di proprietà magiche. Senza contare la sua opera più nota, Casa della Polvere (anch’essa a Roma), un’allusione agli ambienti religiosi di Duccio e di altri maestri del Trecento. Un processo simile è perseguito nelle miei due opere mostrate qui di seguito: La Mano di Rembrandt e Le Signore di Savoia. Rendendo omaggio, rispettivamente, all’illustre artista olandese e alle vite delle straordinarie donne della nota famiglia dei Savoia, questi pezzi cercano di recuperare la densità emotiva contenuta in questi due momenti culturali e di tradurla in nuovi artefatti spaziali. La Mano di Rembrandt (in collaborazione con Willem de Bruijn) risponde al semplice incarico di ristrutturare un soggiorno domestico di una famiglia olandese con base a Londra. Le Signore di Savoia (in collaborazione con Roberto Costa) è un pendente ornamentale installato nell’atrio di un complesso residenziale a Belo Horizonte, Brasile – in un edificio che, casualmente, si chiama Villa Savoia.

La Mano di Rembrandt e Le Signore di Savoia

Ana Araujo, Willem de Bruijn, La Mano di Rembrandt, Londra, 2013; Ana Araujo, Roberto Costa, Le Signore di Savoia, Belo Horizonte, 2014.

È significativo che a definire questo tipo di lavoro non sia solo il processo di restauro di immagini ancestrali e idiosincratiche (storiche, finzionali), ma anche un processo di restauro di tecniche e materiali altrettanto ancestrali e idiosincratici. Il lavoro di Vatz combina i processi di doratura e stencil con pittura acrilica e a olio. La galleria di Cardillo reinventa la superficie in pietra rustica fiorentina in cemento (un materiale romano) facendo anche un’allusione obliqua ai soffitti texturizzati del Barocco italiano. La Mano di Rembrandt ha incluso un laborioso calco in bronzo della mano di una ragazza di undici anni (la figlia del cliente); mentre Le Signore di Savoia combina elaborati lavori in metallo artigianale con l’assemblaggio di gioielli vintage, accessori, posate e stoviglie. Si potrebbe dire che comune a tutte le opere qui rappresentate è un’implicita assunzione che gli esseri umani sono creature complesse che sperimentano condizioni temporali e spaziali diverse, reali e immaginate, simultaneamente. Il filosofo greco Aristotele diceva che il ruolo dell’Arte non è quello di rappresentare la vita com’è, ma piuttosto di descrivere come potrebbe essere (o come potrebbe essere stata). Forse è questo, in definitiva, ciò che queste opere cercano di fare, una ricostruzione idealizzata del passato con lo scopo di costruire un futuro più speranzoso.