Cardillo

architettura

L’antropologia nell’architettura di Antonino Cardillo

Trapani, 26 maggio 2023

Rita Cedrini tiene una conferenza sull’opera di Cardillo al Museo Agostino Pepoli

La Camera dello Scirocco

Conferenza

L’architettura si pone come espressione dell’arte del costruire, l’antropologia come interprete delle ragioni dell’abitare. Se si avvia una dialettica tra le espressioni dei due ambiti culturali, l’esito sarà una compenetrazione tra moduli artistici e vita vissuta, tra stili e quotidianità che, non escludendosi a vicenda nell’affermazione della propria autonomia, regalerà progetti non avulsi dalla realtà.

In questo dialogo si è cimentato Antonino Cardillo, un architetto/esploratore, che ha voluto sperimentare nuovi percorsi nei suoi progetti.

Chi persegue nuove strade è spesso incompreso perché avanti rispetto agli altri, perché dialoga con un mondo che cambia. La cultura come fenomeno dinamico coglie quelli che sono i cambiamenti e gli orientamenti di una società. L’antropologia ne ha fatto oggetto della propria ricerca e il suo contributo è così importante da spingere Renzo Piano ad averne nella sua equipe. Sapere che ormai da un decennio alla Facoltà di Architettura di Palermo non si insegna più antropologia, vuol dire fare dei futuri architetti dei professionisti incompleti.

Per il passato si è compreso, a esempio, il significato e la bellezza delle grandi cattedrali gotiche, segni di un progetto legato alla potenza della Chiesa, il loro svettare verso il cielo un invito a guardare verso l’alto, a ricordare che il nostro è un mondo transeunte; o ancora che i segni del barocco sono il rimando di un mondo legato al potere politico e sociale che, nello sfarzo e nella magnificenza, codificava il messaggio di un potere ritenuto, come sosteneva Giulio Argan, a durare per sempre. Ma spesso così chiare non risultano essere le soluzioni architettoniche del nostro presente. Non siamo preparati a leggere i progetti di colui che mette in atto il futuro. È il caso dell’architetto Antonino Cardillo, un grande eclettico.

La concettualità racchiusa nei suoi progetti è complessa e culta. I suoi percorsi approdano, dopo aver navigato nella storia, in terre lontane dove i miti si fondano nell’identità delle culture. I suoi progetti non si fermano al segno. Il segno è l’estensione di un percorso che si fa tratto caratterizzante per poi divenire quel progetto. In realtà Cardillo mette in rapporto dialogico l’antropologia con la psicologia analitica di Jung e con la musica di Wagner. Come è possibile che tutto ciò possa entrare in rapporto dialogico? È tanto possibile che se si ha la chiave di lettura, quei progetti si disveleranno in tutta la loro forza espressiva. Sono espressione di un ‘laddove’ che sprigiona quell’armonia dell’Essere che rimanda a ciò che ci circonda, dove il reale è un vaso di Pandora. Spesso, ciò che non si comprende lo liquidiamo, talvolta anche in maniera ostile. Lo osteggiamo perché turba l’equilibrio intellettivo di una normalità rutinaria.

Antonino Cardillo ha vissuto questa esperienza sulla sua pelle, ma è andato avanti perché forte delle sue convinzioni e del suo apparato di riferimento che è una cultura solida e robusta, senza la quale c’è soltanto la banalità della riproduzione seriale. Ciò ha esitato soddisfazione per i riconoscimenti che non hanno tardato ad arrivare. Aveva appena trentatré anni quando un’importante rivista inglese lo ha definito e inserito tra i trenta architetti più grandi del mondo.⁠[1] Appena trentatré anni! Questo per far capire che chi è riuscito a entrare nelle pieghe delle sue elaborazioni, ha colto la complessità di confini che si muovono tra realtà e sogno, tra realtà e irrealtà. Perché il suo non è un percorso lineare, ma un percorso di raffinata elaborazione dove a volte è bello perdersi, e proprio perché ci si perde, ritrovarsi. C’è una definizione che Antonino dà dell’architettura: “l’architettura non crea cose nuove ma costruisce sensi e significati dalla combinazione delle cose del mondo. L’architettura è dunque interpretazione del mondo.”⁠[2] ‘Interpretazione del mondo’ è proprio quello che l’architetto fa nei suoi lavori. Un’interpretazione ormai da anni accolta nella rivista diretta da Paolo Portoghesi Abitare la Terra, la più recente nel numero di luglio di quest’anno.⁠[3] Sospeso tra sogno e realtà, nei suoi progetti c’è l’immenso bagaglio che Cardillo ha legato ai tremila anni di storia dell’uomo nella sua terra. Fondamento è la filosofia greca, Platone, le ombre ritenute vere perché non si ha la conoscenza di quella che la realtà in re. E tutto il suo percorso di vita e di progetto è in bilico proprio tra progettazione reale e progettazione legata all’immagine generata al computer. E quello che potrebbe sembrare non realtà, sfuma per consegnare realtà e lasciare l’interrogativo: dove sono i confini dell’una e dell’altra? Ricorda quando Le Corbusier credeva che il mondo classico fosse tutto bello e bianco. Era la tempèrie del momento. Il bianco delle statue greche era il modello a cui rifarsi. Quella è stata ‘la verità’, ma non era la verità, perché poi si è scoperto che le statue erano arricchite con un esùbero cromatico.

Antonino Cardillo si richiama anche ai momenti ancestrali, dove l’antropologia guida alla comprensione di quell’incipit da cui si dipana la storia culturale. Se in Platone la caverna è percorso verso la conoscenza, nell’antropologia la caverna e la grotta segnano l’avvio del processo di civilizzazione, dalla spazialità condivisa alla costituzione di piccole comunità che determineranno il lungo cammino della cultura.

La caverna è l’incipit su cui prende forma il progetto Specus Corallii che Antonino Cardillo realizza a Trapani, nella sua città. Il progetto dedicato a Maria la cui effige arriva dal mare, restituisce in uno spazio inutilizzato della Chiesa Madre il dialogo tra modernità e sommerso. Quel percorso, dal generale al particolare, attraverso gli archi, si snoda per arrivare a una verità che è nell’oratorio abbandonato, già Sala Laurentina. Ma la caverna non è soltanto un mito che si propone a livello ideale, è il materiale di quel momento del caos iniziale, esplicazione di quelle che sono radici a cui Cardillo fa ricorso quasi come una costante, della cenere del Vesuvio: la ‘pozzolana’, già nota e usata nel mondo romano.

Qui si inserisce il percorso tra ciò che è vero e ciò che non è vero. Perché? Perché se Cardillo propone un costruito attraverso il rendering, dice: “Io do la visione di quello che non è in re. Perché, se voglio rendere con il rendering quello che è il concetto per me di grotta e, attraverso tecniche e procedimenti riesco a mettere su soffitti e pareti di una stanza la polvere del Vesuvio, rendo che cosa? Il fatto di ritornare a quell’incipit della grotta, dove quelle radici tornano con i colori – tra l’indefinito e l’impalpabile – in un continuo rapporto dialogico tra materiali, forme ancestrali, ma anche forme che dialogano con il presente.” E in questo rapporto tra ‘verità diverse’, Cardillo sottolinea che nel momento in cui vuole rappresentare la cenere del Vesuvio, che deve essere messa sulla parete per quel preciso significato, nel reale si vede, ma nel rendering non è possibile vederla. Allora, in ciò che non è reale non si riesce a vedere il reale; mentre in quello che è reale non ho il rimando di quello che reale non è. Ecco il discorso di Platone che riporta al momento iniziale della conoscenza. Platone lo chiama il paradosso della nostra realtà. Ed a proposito della polvere, che è l’elemento che mette in discussione la conoscenza, Antonino ha scritto: “L’architettura è polvere, polvere che diviene forma, polvere trasfigurata dalla mente.”⁠[4] Nell’insieme delle sue realizzazioni è possibile vedere questo percorso. Perché ci sono progetti resi come se fossero case davvero realizzate. Così capita di chiedersi: dove è stata realizzata questa casa, questo progetto dove si trova? Quali sono i confini che lasciano intendere quelle realmente realizzate e quelle ‘realizzate’ nel solo progetto mentale? Non c’è distonia fra le une e le altre, perché è il prosieguo di un unico percorso dettato da questa sua capacità di far dialogare materie, materiali e conoscenze tra loro con quel substrato di Carl Jung da cui Antonino non si distacca mai.

Leggere i suoi progetti è lettura non semplice perché serve quella chiave che la storia dell’architettura moderna ancora non dà. Ci vuole pazienza e riflessione per penetrare concetti che facili non sono. E l’impulso di voltar pagina ci avverte che l’impegno che si mette nel cercare di comprendere ciò che si discosta dalla rutinaria progettazione, se non è serio, non esita in risultati. Così quella pagina girata diventa percorso di conoscenza non attuato.

Percorrere strade nuove costa fatica ma – proprio come nei progetti di Cardillo quando attraverso gli archi si apre all’improvviso da una strettoia la realtà disvelata di un’aula immersa da colori rimando di luce – diviene manifesta anche la profondità dell’intrinseco messaggio concettuale.

Ecco, l’armonia dell’insieme entra in dialogo con il presente. Così avviene anche per la cosiddetta Casa della Polvere, realizzata a Roma. L’armonia dell’Essere, nel momento in cui lascia il mondo esterno e vuole ritrovare se stesso, lo ritrova non nei parametri standardizzati ma in quelli interiori della conoscenza.

Credo che la dirompente personalità di Antonino Cardillo (di persona è un timido!), ben delineata anche nelle pieghe più nascoste, sia stata colta dall’intervista di Jeanette Kunsmann ‘Architettura e verità’.⁠[5] Essa è la più bella ed esaustiva che a lui sia stata fatta tra le moltiplici dei più affermati magazine, dove restituisce ad Antonino già nel 2017 quello che è il valore di essere un esploratore scomodo. Eppure, in un mondo dove non è facile approdare, Antonino è approdato. Ha trovato committenti stranieri – ma taluni anche in Italia – testimoniando con la sua creatività un orgoglio tutto italiano.

Noi viviamo a volte di un passato che non ci appartiene. Quel passato che è stato segnato dalle dominazioni che sono venute in Sicilia e che andando via ci hanno lasciato i loro monumenti. Invece abbiamo bisogno di impossessarci del passato attraverso una lettura che sappia andare oltre. Ma qui ci vogliono le anime belle. E le anime belle, spesso, non sono mai comode a se stesse.

Note

  1. ^ Tony Chambers, Jonathan Bell, Ellie Stathaki, ‘’ (pdf), Wallpaper*, n. 125, dir. Tony Chambers, Londra, ago. 2009, pp. 74, 76‑77, 81. ‘’,[↗] wallpaper.com, Londra, 25 lug. 2009.
  2. ^ Antonino Cardillo, ‘’,[↗] Casabella, n. 925, dir. Francesco Dal Co, Milano, sett. 2021, p. 11.
  3. ^ Mario Pisani, ‘’,[↗] Abitare la Terra, n. 60, dir. Paolo Portoghesi, Roma, lug. 2023, pp. 30‑33.
  4. ^ Francesca Gottardo, ‘’ (pdf), Abitare la Terra, n. 37, dir. Paolo Portoghesi, Roma, mar. 2015, p. 50.
  5. ^ Jeanette Kunsmann, Stephan Burkoff, ‘’ (pdf), DEAR Magazin, n. 1, dir. Stephan Burkoff, Berlino, apr. 2017, pp. 3, 13, 68‑85, copertina.
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