Cardillo

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Il rifugio della memoria

Roma,


Francesca Gottardo sul progetto Speco dei Coralli di Cardillo (Sala Laurentina) sulla rivista di Paolo Portoghesi Abitare la Terra




Abitare la Terra 41



Lettura

Quando i miei pensieri sono ansiosi, inquieti e cattivi, vado in riva al mare, e il mare li annega e li manda via con i suoi grandi suoni larghi, li purifica con il suo rumore, e impone un ritmo su tutto ciò che in me è disorientato e confuso. — Rainer Maria Rilke


Il lento e graduale processo di sedimentazione ed erosione che, nell’incessante moto ondoso delle acque, presiede alla formazione delle grotte, sembra dare origine a questo insolito spazio, in cui riecheggia, come amplificato dall’eco di una conchiglia, il rumore del mare che ritmicamente si infrange sulla battigia.

Seguendo il percorso dell’acqua, costretta nel passaggio, angusto e forzato, di una galleria di archi che, nella loro successione, simulano il rincorrersi impetuoso delle onde e delle correnti marine, e lasciandosi sorprendere dagli ampi spazi che si aprono inaspettatamente alla vista, si giunge in una sorta di luogo ipogeo che si configura come un riparo sicuro, in cui le acque, terminata la loro forte spinta direzionale, ormai calme e non più vorticose, generano l’ambiente ideale, in profondità e penombra, per la crescita ed il proliferare, oltre che di conchiglie, di speciali e preziose formazioni chiamate coralli. “In queste conchiglie trova riparo e dimora la vita del mare. Una dimora che ospita un ordine di vita inferiore, ma che possiede ciò che a noi manca: una forma ispirata. In questa collezione di dimore di centinaia di animaletti che se le costruiscono da sé, vediamo una qualità che si chiama fantasia. La bellezza delle loro variazioni è infinita. Non è una questione di principio del disegno: questa infinita varietà di mezzi espressivi ci insegna ciò che il disegno può significare. La divinità è certo presente in queste conchiglie, nella loro umile forma di vita.”⁠[1]

Proprio dalla rievocazione delle grotte e dei coralli, suggestive architetture del mare, nasce il restauro della Sala Laurentina della Cattedrale di Trapani, che Cardillo restituisce alla città come spazio rappresentativo ed emblematico della storia e delle tradizioni locali indissolubilmente legate al mare.

La formazione delle grotte è, infatti, strettamente connessa alla presenza dell’acqua, condizione indispensabile per l’evoluzione del sistema carsico, di cui costituisce l’agente modellante, attraverso fessure nelle quali si insinua per dare origine al processo corrosivo ed il cui ritiro dà vita a grandi vuoti percorribili ed a sedimentazioni sabbiose di terra e sabbia.

Allo stesso modo, la forma geometrica della conchiglia, “impregnata del racconto della sua crescita individuale oltre che della storia della sua evoluzione”,⁠[2] presenta le tracce del processo graduale del suo accrescimento, leggibili sulle superficie in segni di straordinaria densità. Sedimentazioni che sottendono un movimento lento, che segna lo scorrere del tempo, in cui niente è destinato a rimanere tale, ma a mutare progressivamente. I coralli, in particolare, nati dalla trasformazione del sangue sgorgante dal collo reciso di Medusa che a contatto con l’aria si pietrificò,⁠[3] come ci racconta Ovidio ne Le Metamorfosi, nel loro essere allo stesso tempo espressione del regno vegetale, animale e minerale, rappresentano per eccellenza il concetto di trasformazione, evoluzione e rigenerazione.

Materia e memoria si stratificano, dunque, sulle pareti dello Specus ricavato nella Sala Laurentina, antico oratorio oggi completamente rinnovato quale custode della storia della città. Omaggio alla cultura trapanese nelle sue molteplici declinazioni, lo spazio progettato da Cardillo si nutre dello spirito del luogo quale sedimentazione della conoscenza stratificata, che diventa nel tempo memoria. “Con il suo evocare la dimensione misterica di un mondo sommerso – spiega l’architetto – lo Specus Corallii racconta quell’immaginario che, dal mare, sedimenta da millenni il senso della vita della città e del suo paesaggio”, esplicito rimando da una parte all’architettura rupestre, fortemente radicata nelle tradizioni costruttive locali, dall’altra alla cultura artigiana tipicamente trapanese e, in particolare, all’arte della lavorazione dei coralli, materia prima – di cui la città è stata da sempre particolarmente ricca, grazie alla presenza nei suoi mari di abbondanti bacini coralliferi – per la produzione di manufatti di inestimabile valore non solo simbolico, oltre che curativo ed apotropaico, destinati ad impreziosire spesso proprio le grotte ed i ninfei dei giardini o le cosiddette wunderkammer, stanze di meraviglie e di tesori.

Il progetto di Cardillo racconta, con straordinaria efficacia, il rapporto simbiotico, particolarmente vivo nella città di Trapani, tra mare e terra, punto di partenza e di ritorno di un viaggio, come quello di Ulisse, verso la conoscenza di se stessi, ove risiede il sacro e verso il superamento dei propri limiti.

Il mare che l’eroe omerico, come ricorda Dante, vuole solcare per colmare la sua sete di sapere rappresenta il tramite tra l’uomo e l’ignoto. Non a caso l’incalzante sequenza di archi, che sovrastano il verde acqua delle pareti della galleria di accesso e che si susseguono a cannocchiale fino all’oratorio, rappresentano idealmente le tappe di questo viaggio, fissando all’orizzonte, come colonne d’Ercole, il confine che separa il finito dall’infinito, il certo dall’incerto, l’ordine dal caos. Superate le colonne, il buio si apre alla luce, il dubbio alla conoscenza, il divenire all’essere, il disordine all’armonia.

Materia, luce e colore sono gli strumenti che caratterizzano il linguaggio di Cardillo e, in particolare, uno dei principali filoni della sua ricerca architettonica incentrato sullo Specus quale archetipo primordiale. Già sperimentato in altre significative opere, il tema della grotta esprime il senso profondo della sua architettura, complessa eppure minimale, che a sua volta, in analogia alla sfida omerica, intende superare i propri limiti, misurandosi con la finitezza dello spazio e della struttura geometrica per avvicinarsi all’infinito.

I confini si stemperano, come dissolti, nella tattilità di una superficie irregolare, fatta di impalpabili granelli e ruvidi corrugamenti, di imprevisti spessori ed inattese depressioni. La superficie indefinitamente granulosa delle pareti e del soffitto della sala dell’oratorio, a differenza del basamento e del pavimento, realizzati in blocchi geometricamente definiti di pietra calcarenite conchigliare, è lavorata miscelando in opera calce, sabbia, polvere di pozzolana con un colore tendente al corallo e valorizzata, nella sua particolare composizione, dalla luce radente proveniente dalle finestre.

Il tassello in legno ricavato sulla superficie del pavimento dell’oratorio, esprime, infine, quale meta finale del viaggio, come fosse la sagoma di una barca ormeggiata, la serena stabilità di un approdo sicuro, lontano dal tumulto e dai pericoli, metafora di un equilibrio faticosamente raggiunto in armonia con se stessi e con la natura che ci circonda.

Veduta della Sala Laurentina, distrutta nella seconda guerra mondiale, rinasce come oratorio e spazio polifunzionale. Fotografia: Antonino Cardillo

Veduta della Sala Laurentina, distrutta nella seconda guerra mondiale, rinasce come oratorio e spazio polifunzionale. Fotografia: Antonino Cardillo




Note

  1. ^ Frank Lloyd Wright, La città vivente, Einaudi, Torino, 1966.
  2. ^ Gregory Bateson, Dove gli angeli esitano, Adelphi, Milano, 1987.
  3. ^ Ovidio, Metamorfosi, IV, pp. 740‑752.