Lettura
Peppe Occhipinti
Nello spirito di esaltazione degli elementi primari—terra, aria, acqua e fuoco—è stato restituito alla socialità l’antico oratorio del Santissimo Sacramento. Con un lavoro di riconfigurazione dello spazio, avviato lo scorso gennaio, torna così a nuova vita quel nudo e spoglio scatolone che per decenni è stata la sala parrocchiale della vicina Cattedrale di San Lorenzo, perciò denominata ‘Laurentina’. Sala che prima di un lungo abbandono dovuto allo spopolamento del quartiere ed alla sua riconversione in sede della movida è stata utilizzata come sala giochi per i ragazzi, con tavoli da ping-pong e rete per la palla a volo, come luogo dove veniva allestito il presepe a Natale, dove si organizzavano i veglioni per Carnevale e le recite scolastiche per i più piccini.
Del settecentesco oratorio, all’interno, non rimaneva più nessuna traccia. Non una decorazione alle pareti e neppure più il tetto, eliminato per una successiva elevazione di due piani eseguita negli Anni Cinquanta. Solo la facciata, di un elegante gusto neogotico, fine Ottocento, ricordava ai passanti la sua originaria funzione di luogo di culto.
Ci si immette nell’oratorio da una piccola porta laterale, oltre la quale si apre uno stretto e lungo corridoio scandito da una fuga di archi a tutto sesto disposti come un trompe-l’œil di concezione borrominiana. Le pareti ed il pavimento, di un verde acqua, danno la sensazione di penetrare in uno spazio liquido che si conclude, sulla parete di fondo, con un piccolo oculo nascosto da cui si riversa una luce che riflessa dal pavimento evoca la luna su di una superficie di un fiume in una notte serena.
Da questo corridoio che otticamente dà l’idea della profondità, si accede al grande vano oratoriale dalla configurazione classica con misure in rapporto proporzionale tra loro e che riprendono, in piano, la dimensione dello stilobate del Tempio E di Selinunte. Quello decorato dalle stupefacenti metope, tra cui ‘Eracle contro l’amazzone’, che sono l’orgoglio del Museo Archeologico Regionale Antonino Salinas di Palermo.
Lo spazio è tutto giocato sulla forza dei materiali adoperati, con colori che vanno dal giallo spiga di grano maturo, ad un terroso rosa corallo, al bruno scuro tronco d’albero. La riconoscibile cifra stilistica è quella dell’architetto Antonino Cardillo, giovane, ma già onusto di riconoscimenti, con opere realizzate a Roma—città dove ha studiato per nove anni l’architettura classica –, Osaka, Londra e Milano. Suoi temi ricorrenti sono la grotta e gli archi. Casa della Polvere è il titolo del suo lavoro iconico costruito tra il 2012 ed il 2013 nei pressi di Villa Borghese. E Specus Corallii è il titolo di questa sua ultima opera di architettura, proposta un anno fa a Monsignor Gaspare Gruppuso ed al Consiglio Pastorale della Parrocchia di San Lorenzo, per la Sala Laurentina.
È evidente il valore evocativo della parola ‘specus’ che può essere intesa con il significato di grotta, caverna, riparo. E grezzo come la volta di una grotta, Cardillo ha voluto il soffitto del rinnovato Oratorio, ottenuto utilizzando un materiale povero il cui uso risale alle costruzioni dell’antica Roma: la pozzolana, il cui nome rimanda al luogo d’origine: le cave nei pressi della città campana.
La scabrosità della pozzolana, utilizzata per millenni come rivestimento, annulla, con i suoi effetti chiaroscurali dovuti alla particolare tecnica della stesura a rinzaffo, lo stacco degli angoli di congiunzione tra il tetto e le pareti, evocando la qualità aerea di una volta che il luogo sacro doveva un tempo possedere.
Il rivestimento in pozzolana che dal soffitto scende alle pareti si arresta su di un basamento, alto come una boiserie. È impastato con un colore terroso che suggerisce il rosa del corallo, pescato nel mare di fronte la città di Trapani e che per secoli qui è stato lavorato da abili artigiani che hanno creato oggetti di uso sacro e profano oggi esposti nei musei europei, collezioni pubbliche e private.[1]
Il pavimento è ricoperto da ampie lastre di calcarenite giallo-ocra che rinserrano al loro interno un ramo fossilizzato di un giovane albero. Per scelta sono state collocate in piano in modo da far combaciare le due metà del tronco che il taglio aveva diviso, ricomponendolo nella sua unitarietà. Una appropriata levigatura le ha rese riflettenti e la luce che penetra dalle profonde finestre aperte sul lato sinistro esposto a mezzogiorno, crea sulla superficie come una meridiana mobile.
Dalla stessa cava di calcarenite proviene la pietra del basamento che riveste tutt’attorno le pareti. Prelevata dagli strati superiori della cava ha una natura meno compatta, più porosa rispetto a quella utilizzata per il pavimento e non è stata lucidata. L’effetto è quello di un tessuto morbido, di un drappo avvolgente ed isolante, capace di offrire protezione: fresco d’estate, caldo d’inverno.
Il motivo del tronco d’albero steso per terra sul pavimento è ripreso dalle porte in legno di castagno. Le porte sono cinque. Due ad ovest che danno accesso alla cabina di regia ed alla scala, due a nord verso la ‘Galleria degli archi’ e, una quinta—controporta del portale d’ingresso—che si apre sulla facciata di levante sulla Via Domenico Giglio. L’oratorio di proprietà ecclesiastica è disposto così su un asse est-ovest, come i luoghi di culto dell’antichità.
Antonino Cardillo, Specus Corallii, Cattedrale di Trapani, 2016. Fotografia: Antonino Cardillo
Nota
- ^ Peppe Occhipinti, ‘Museo Pepoli Trapani: arte del corallo’,[↗] Tele Scirocco Informazione [programma TV], Trapani, 1 mar. 1986.