Lettura
Thomson Carpenter
La città natale dell’architetto Antonino Cardillo, Erice, in Sicilia, è custodita dai templi antichi della dea romana della bellezza, dell’amore e della fertilità, Venere Ericina. Non c’è da meravigliarsi, quindi, che sia così affascinato dalla storia del luogo. Cardillo racconta a Thomson Carpenter delle sue filosofie, influenze e passioni.
“Senza memoria è impossibile costruire un presente credibile”, dice Antonino Cardillo, l’italiano affascinante ed elegantemente vestito, le cui progettazioni residenziali, ingegneristicamente esperte e libere, sono rinomate per la loro estetica ponderata. “Un serio rischio per la società contemporanea è ripetere il passato recente in una coazione a ripetere di banalità. La storia è un paradigma rappresentativo dell’interazione continua tra l’umanità. Credo quindi che l’architettura oggi debba agire come una forza unificante attraverso la quale si propaga una connessione positiva. In definitiva, l’amore crea l’energia positiva che spinge il mondo avanti e questo è evidente in architettura. Quando entità avverse non solo si incontrano ma imparano ad amarsi, nascono nuovi linguaggi. Lo stesso principio si applica al progetto, il più fertile dei quali è storicamente sempre stato un atto sessuale violento ed emotivo tra culture diverse”, continua Cardillo. “Ma mentre l’architettura è stata tradizionalmente utilizzata per esprimere potere e ricchezza, nell’era moderna riguarda molto di più la creazione di un mondo migliore in cui vivere.”
Una visione abbastanza utopica, ma che Cardillo è riuscito comunque a tradurre con successo. Dopo aver studiato a Palermo sotto Antonietta Iolanda Lima (la rinomata architetta, critica e storica dell’architettura e degli studi urbani), Cardillo ha aperto il suo studio a Roma nel 2004. Specializzatosi in architettura, architettura degli interni e riqualificazione urbana, Cardillo ora opera su scala globale e i suoi schemi distintivi gli hanno valso ampi consensi per le loro forme curve e l’uso intelligente dei materiali naturali. Le interazioni con gli elementi – sole, pioggia, vento e suono – sono più importanti per Cardillo che i mobili: “Una casa contemporanea non dovrebbe essere solo una raccolta di oggetti inanimati”, dice. A volte monolitico, altre volte scultoreo, il lavoro di Cardillo, pur essendo decisamente moderno, ha più di una affinità con l’architettura della Roma antica. Non sarebbe sorprendente se il De Architectura di Vitruvio figurasse in cima alla sua lista di letture preferite.
“Purtroppo non penso che l’architettura possa realmente cambiare il mondo in cui viviamo, ma può certamente influenzarlo. Nel progetto, bisogna accettare la realtà – completa di tutti i suoi difetti e contraddizioni – e quindi determinare il modo migliore per lavorare intorno ad essa, creando un ambiente più umano, poetico e spirituale.”
Il primo ad ammettere di essere un sognatore, Cardillo riconosce di abitare un mondo virtuale, un universo parallelo, e descrive inoltre il suo entrare nell’architettura come un evento improvviso.
“Avevo 17 anni ed ero a casa nella campagna siciliana. Era tardi e, tra le calde sfumature color miele del sole del pomeriggio, vidi una piccola torre. In quel momento decisi che mi sarebbe piaciuto costruire una stanza in cima a quella torre, con quattro finestre per lato che incorniciassero le viste magnifiche. Il giorno successivo comprai un dizionario di architettura e passai l’estate seguente a leggere, affascinato, sulle varie forme di progetto e le sue influenze. L’architettura è un luogo della mente.”
Ma non fu solo lavoro di pietra rustica italiana e fascino dell’antichità. La prospettiva di Cardillo risente anche dell’influenza della sua generazione.
“Nel 1984, mio padre fondò una piccola software house”, ricorda. “Avevo nove anni, ma ho un chiaro ricordo di quei giganteschi computer senza tastiere, monitor beige e neri, ed enormi floppy disk. Era un mondo magico e futuristico fatto di linguaggi di programmazione, dispositivi e altre cose strane. Tutto questo ha avuto un effetto sulla mia immaginazione. Da lì ho iniziato a sognare il futuro, ma era un futuro diverso dal nostro presente. Il mondo dei computer degli anni Ottanta era sia ingenuo che sommerso, molto diverso da quello di oggi. Ho trascorso la prima parte della vita in quei paesaggi fatti di schermi neri, grandi pixel e videogiochi come Ultima IV sul mio Commodore 64. Ho ancora ricordi di quei luoghi, come se ci fossi stato veramente.”
Come molti grandi architetti concordano, l’ispirazione non deriva sempre semplicemente dagli edifici veduti.
“Completando i miei studi di architettura a Palermo, stavo attraversando una crisi di mezza età prematura e non sapevo dopo che direzione seguire,” dice Cardillo. “Poi una sera d’autunno, ho scoperto e mi sono innamorato dell’album dei Pink Floyd The Dark Side Of The Moon. È stato l’inizio di molti viaggi nei loro paesaggi sonori cinematografici e architettonici. Ho imparato molto dalla musica floydiana e attraverso essa ho iniziato a vedere l’architettura nella musica.”
Il futuro, come lo vede Cardillo, è caldo e invitante come quel primo giorno d’estate che lo ispirò. “L’uso corretto della tecnologia informatica permette all’architetto di espandere le sue attività da un unico territorio”, dice. “Intendo la mia pratica come uno strumento flessibile, in grado di muoversi facilmente in diversi paesi, seguendo clienti e interessi personali. Amo viaggiare e credo che scoprire diverse culture sia il miglior antidoto alla omologazione del linguaggio e alla perdita di creatività.”
Quel senso di avventura lo ha portato in Australia, dove ha progettato una casa a Melbourne, affrontando varie sfide. “Di solito cerco di trovare qualche connessione con la storia del luogo ma non ero interessato a seguire una sola direzione, quindi ho trovato ispirazione dalle origini veneziane del mio cliente. Alla fine, questo progetto mi ha offerto la possibilità di creare un ponte tra l’antica Bisanzio e lo stile australiano contemporaneo. Questo mostra la mia filosofia personale sull’architettura: un modo per unire le persone e le loro diverse radici.”
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Antonino Cardillo alla Villa Doria Pamphilj, Roma, 2009. Fotografia: Simone Greggi