Cardillo

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Valori che trascendono il tempo

Wuppertal,


Ralf Ferdinand Broekman ed Olaf Winkler intervistano per la prima volta Antonino Cardillo per la rivista build Das Architekten




build 4-10



Intervista

, con Ralf Ferdinand Broekman ed Olaf Winkler


RFB-OW: “Antonino Cardillo, sei cresciuto e hai frequentato l’università in Sicilia, oggi il tuo studio è a Roma. Quanto è importante per te il tuo background regionale? Vedi influenze nel tuo lavoro che sono specificamente italiane, magari siciliane?”

AC: “Quando avevo 17 anni lessi questa frase: “L’Italia senza la Sicilia non lascia alcuna immagine nell’anima: qui è la chiave di tutto.” Goethe la scrisse il 13 aprile 1787 nel suo diario di viaggio siciliano durante il suo soggiorno a Palermo. Per anni ho cercato di comprendere il motivo di un’affermazione così netta ed al contempo sorprendente. Camminavo nella mia Palermo alla ricerca di un senso per tutto quel dolore, cercando la ragione di quella bellezza morente. A differenza di altre città che vantano pulizia e ordine, Palermo sembra chiedere con forza quale sia il senso ultimo del tempo, il senso della storia. A Palermo respiravo futuri possibili che non si sono mai materializzati, futuri che sono rimasti invece latenti nelle pietre, nel terreno e nei corpi. Come in letteratura, credo che l’architettura sia un atto critico sulla realtà che la circonda ed allo stesso tempo un atto di interpretazione della storia. L’architettura è più della funzione, che è solo un pretesto casuale che le dà vita. Decisamente, l’essenza dell’architettura risiede nella sua narrazione, che struttura il tempo nello spazio: la grande architettura, la città infatti, è come un romanzo senza fine, in cui l’esperienza personale del protagonista, vista dal suo punto di vista, modifica continuamente il senso dell’opera del tempo. Al di là di questa dimensione umana, storica e geografica, l’architettura è destinata all’obsolescenza tecnologica ed all’invecchiamento precoce. Perché Roma? Forse per un esilio volontario. Per creare ho bisogno di silenzio e distanza. Ma direi che è più una sorta di interesse storico-estetico. Penso che la sua essenza urbana sia più interessante e comunicativa rispetto ad altre città perché Roma ha una struttura frammentaria, data da una stratificazione storica estremamente ampia e complessa. Potrebbe sembrare un paradosso, ma questa città antica, anche se priva di grattacieli, pareti di vetro, cemento a vista ed altri feticci della modernità, offre una storia che è unicamente in linea con il sentimento contemporaneo. Più di qualsiasi altra città al mondo, essa si rivela attraverso una molteplicità di significati presentati in modo disorganizzato e non molto classico.”


RFB-OW: “Se si guarda al carattere specifico della tua architettura, la maggior parte dei tuoi progetti si basa molto sulle qualità atmosferiche. Come trasferisci ed integri i desideri del cliente nei tuoi progetti? E, viceversa: trovi difficile comunicare le qualità di un progetto futuro al tuo cliente, mentre lo stai pianificando?”

AC: “Consiglierei a coloro che hanno – o sognano di avere – un televisore a grande schermo nel soggiorno di non commissionare un lavoro ad Antonino Cardillo. Ne sarebbero delusi. La mia architettura è per pochi, è un rischio che devo correre e sono disposto a correre. Per fare architettura ci vogliono clienti speciali, ma non necessariamente ricchi. L’architettura è la trasfigurazione della materia e questa esprime la sua vera natura con i mezzi più semplici. Non è fatta di pietre preziose né di tessuti pregiati, né di mobili costosi. Non credo nell’architettura dell’intrattenimento, la mia ricerca è intima, quasi sacra (ma non religiosa) e tende ad emanciparsi dai dettami della falsa felicità creata dalle immagini e dai beni di lusso.”


RFB-OW: “Nei tuoi progetti lavori molto con la luce, trattandola quasi come un materiale fisico. Come procedi effettivamente nella progettazione; quanto ti affidi a modelli, materiali, test delle superfici e quanto è importante lavorare con il computer?”

AC: “Nel 1984 quattro ricercatori della Cornell University – Goral, Battaile, Torrance e Greenberg – presentarono un algoritmo di calcolo chiamato Radiosity. Questa nuova tecnica per la simulazione degli ambienti luminosi trasformò radicalmente il campo della grafica computerizzata, che fino ad allora si basava sull’algoritmo di Raytracing, inventato nel 1979 da Turner Whitted. Ovviamente passarono molti anni prima che le rispettive tecniche potessero essere utilizzate sui personal computer. Iniziai a sperimentare con l’algoritmo di Raytracing nel 1994 – nei miei primi anni all’università di Palermo – e con Radiosity nel 2001 durante la preparazione della mia tesi di laurea. Nel Raytracing la simulazione restituisce nell’immagine solo i raggi direttamente emessi da una sorgente luminosa; Radiosity, invece, calcola anche le reazioni fisiche della luce incidente sulle superfici, note come radiosità. A mio avviso, queste due tecniche molto diverse offrono interessanti spunti di riflessione sul modo in cui la luce è considerata nel design moderno e contemporaneo. Il primo metodo considera la luce come un operatore che divide le aree luminose dall’oscurità, e poiché l’algoritmo produce ombre senza dettagli (senza radiosità), il designer – per migliorare la qualità dell’immagine simulata – riduce le ombre, ampliando le fonti di luce primaria, le superfici vetrate e la luce artificiale. Pertanto, l’architetto che utilizza il Raytracing finisce per credere che la luce in architettura sia meramente diretta, e diffida delle finestre, considerate come strani buchi nei muri. Al contrario, lavorando con l’algoritmo di Radiosity, riscopriamo una vecchia lezione, troppo spesso dimenticata al giorno d’oggi, ovvero che la luce, quando incontra un materiale solido, cambiando la sua natura e forma, riverbera su altre superfici a sua volta in un gioco di divisioni fino a decadere nell’oscurità. Credo fermamente che l’architettura si identifichi nella luce, ma l’architettura non si manifesta solo nel materiale solido illuminato, bensì attraverso l’interpretazione che essa dà della luce.”


RFB-OW: “In generale: come affronti la tensione tra l’architettura come disciplina razionale e la nozione dell’irrazionale, il potenziale espressivo di un artista decisamente individuale? Come gestisci l’imponderabilità della soggettività?”

AC: “In un certo senso, le mie opere stesse rispondono alla domanda. Spesso i miei progetti si basano sulle relazioni tra elementi geometrici riconoscibili. Non si troveranno molte curve fantasiose o forme isolate arbitrariamente. Con il tempo sono giunto a credere che l’eccesso di formalismo che caratterizza molta architettura odierna sia il risultato di una frenesia – patetica e spesso goffa – verso la tecnologia dell’informazione [IT]. Nel mio lavoro, le relazioni tra le parti sviluppano aspetti irrazionali, che a volte riecheggiano memorie del Suprematismo e dell’Espressionismo. Sono interessato a dimostrare come sia possibile in architettura costruire una narrazione creativa complessa partendo da ingredienti semplici, riconoscibili e spesso economici. È il ‘già detto’ o ‘già visto’ dell’architettura che mi interessa, che nelle mie opere, tuttavia, trova una nuova, spesso incoerente collocazione. In ciascuna delle case che ho progettato, ho esplorato diversi aspetti della mia identità. Ho spesso scoperto alcuni aspetti di me stesso che non avrei nemmeno potuto immaginare. Mi piace immaginare che la ricerca dietro ciascuna di esse sia fermamente legata alla mia vita: forse le mie opere sono spesso ritratti delle persone che ho amato.”


RFB-OW: “Dato che molti dei tuoi progetti sono case private, cosa trovi di specificamente affascinante in questo compito?”

AC: “L’abitazione ha sempre esercitato un grande fascino su di me. È un tema ancestrale che va oltre un periodo storico specifico: mangiare, lavorare, leggere, lavarsi, urinare, giocare, pensare, amare sono tutte attività fondamentali immutate nella storia umana. Pertanto, una casa allo stadio potenziale possiede una qualità universale, direi archetipica. Inoltre, in architettura, i miei primi amori sono stati Le Corbusier e Frank Lloyd Wright, che nel XX secolo hanno sviluppato il tema della casa moderna partendo da posizioni diametralmente opposte. La loro ricerca ha sicuramente orientato alcuni aspetti del mio sviluppo.”


RFB-OW: “Quanto sono importanti altre discipline culturali – musica, arte, film – per il tuo lavoro, per la tua comprensione e sviluppo dello spazio? Qualcuna di queste discipline è particolarmente influente per te, magari importante per la tua autopercezione come architetto?”

AC: “Musica e cinema hanno in comune il tema della sequenza. Credo che siano più vicini all’architettura rispetto alla pittura o alla scultura. Oggi, nel senso comune, l’arte è fatta di oggetti: dipinti, installazioni, sculture. Ma non è sempre stato così. Prima dell’era moderna, pittura e scultura facevano parte dell’architettura: una separazione tra loro e lo spazio dell’architettura era impensabile. L’idea di usare l’arte come merce di scambio è tipica dei nostri tempi borghesi. Dal mio punto di vista, la cosiddetta ‘Arte Contemporanea’ è così noiosa e così elitaria e penso che questo modo di vedere le cose sia un vicolo cieco. Credo che l’arte sia nella strada ed in questo senso il cinema e la musica sono più vicini alla vita. Credo che siano le vere ‘arti’ di oggi.”


RFB-OW: “Quanto è importante per te il termine bellezza? Esiste disconnesso dalla funzione, dallo scopo, dalle strutture ingegneristiche? E, forse in relazione a ciò: quanto è importante l’atemporalità dell’architettura rispetto all’essere adeguata al tempo in cui è stata sviluppata?”

AC: “Se la bellezza è ricerca, allora questo è il fine ultimo dell’architettura. La ‘gravità’ non è il nemico dell’architettura e la bellezza è anche struttura. Voglio raccontare una storia: qualche tempo fa ero al Sarnıç, un ristorante ipogeo ad Istanbul ricavato da una cisterna bizantina. Ero così affascinato da quello spazio e ho realizzato che un edificio è grande quando i suoi spazi sono eloquenti nella misura in cui possono resistere ai cambiamenti del loro scopo primario. Affermerò ancora una volta: la funzione è un pretesto. L’architettura dovrebbe essere in grado di trasmettere valori che trascendono il tempo ed il quotidiano.”


Antonino Cardillo alla Villa Doria Pamphilj

Antonino Cardillo nella grotta di Villa Doria Pamphilj, Roma, 2009. Fotografia: Simone Greggi





Fonte

  • Antonino Cardillo, ‘Values transcending time’ (pdf), build Das Architekten-Magazin, n. 4/10, cur. Ralf Broekman ed Olaf Winkler, Wuppertal, ago. 2010, pp. 41‑47.