Conferenza
Antonino Cardillo
L’Off Club di Roma è un ristorante bar costruito negli ultimi due anni. In questa conferenza esporrò il processo che ha portato alla sua realizzazione. Questo progetto riguarda il modo in cui la Psiche è coinvolta nel corpo dell’architettura. Il mio discorso sarà quindi suddiviso in tre parti: Visione, Costruzione, Identificazione. Per inverare un progetto di architettura consapevole, è mia consuetudine sviluppare personalmente l’intero processo creativo, che dal progetto conduce alla rappresentazione passando per la costruzione dell’opera. Questa modalità operativa conduce ad un risultato diverso. Il progetto dell’Off Club, dunque, trascende la funzione ordinaria del ristorante bar e racconta un mio punto di vista sul mondo.
La funzione intuitiva: dal soggetto psichico all’oggetto fisico
Secondo Carl Gustav Jung, la Psiche potrebbe essere divisa in quattro funzioni primarie: Pensiero, Sentimento, Sensazione, Intuizione. La funzione intuitiva proietta sugli oggetti i contenuti della Psiche.[1] Gli oggetti, animati da codesti contenuti, ‘popolano’ una realtà. Così, corpi astrali, geografie, vegetali ed animali diventano divinità e presenze misteriose dell’immaginario collettivo. In accordo a questa lettura, anche la visualizzazione di un progetto di architettura potrebbe essere un tentativo prodotto dalla Psiche di proiettare un suo contenuto nello spazio, condensandosi su di una realtà sensibile.
Iniziando a progettare l’Off Club, incontrai un certo timore. Non avevo mai progettato un ristorante bar, ma un aspetto mi era chiaro: non volevo progettare un bar alla moda con mobili di lusso. Volevo raccontare qualcosa. Quindi, provai ad immaginare un ristorante bar in forma di chiesa. Forse potrebbe sembrare inappropriato travasare contenuti religiosi in una tipologia commerciale, però, sempre secondo Jung, i contenuti religiosi provengono dall’inconscio collettivo della nostra Psiche. Ci appaiono come frammenti diversi, spesso in conflitto, ma appartengono ad essa. La funzione intuitiva possiede questa facoltà di lasciare emergere codeste visioni. Dispiega i misteriosi contenuti dell’inconscio sul piano ideale del sacro. Così, tali contenuti appaiono come riflessi di essa sulla realtà fisica.
Oggi la dipendenza dal cibo sembra essere diventata una patologia endemica. Quindi, all’inizio della progettazione mi sono chiesto: cosa succede se innesto contenuti subliminali afferenti al sacro in uno spazio di consumo? È possibile stimolare inconsciamente il mondo interiore del consumatore attraverso l’esperienza dell’architettura? Così approdai ad una visione dello spazio in forma di immagine generata al computer (IGC). Cosa vedere in questa immagine? Uno schermo, una luce che proviene da dietro lo schermo ed un senso di erotismo mutuato da forme falliche incavate sulla sua superficie. Cosa ci dice questo schermo? Forse che si può attraversare.
Nonostante tutto, ancora oggi, il muro resta l’argomento principale della disciplina dell’architettura ed il ‘velo’ invita alla scoperta del suo corpo. Il contenuto a fondale, è velato come l’iconostasi di una chiesa bizantina. Esso è protetto e richiede devozione al pari. Attraverso questo schermo, un senso di erotismo si riunisce al sacro. In accordo alla letteratura psicologica, archeologica ed antropologica, erotismo e sacro sono legati tra loro. Quando ho presentato ai committenti questa immagine, volevo instaurare con loro un sentimento di partecipazione. I problemi logistici del ristorante furono risolti più tardi, perché non volevo che fossero l’argomento principale del progetto. Ciò che cercavamo era l’emergere di un’identità, il volto di un luogo.
Il linguaggio come casa dell’Essere: verso un’etimologia delle parole architettoniche
Questa seconda parte del discorso è titolata con una citazione di Martin Heidegger.[2] Alcune delle parole della disciplina dell’architettura sono l’arco, la porta, il muro ed il recinto. Esse ci chiedono di essere capite. L’impiego in un costrutto di architettura di ciascuna parola richiede la conoscenza della loro etimologia. Spesso la storicità delle parole è sconosciuta ed i luoghi comuni confondono il loro significato. Così cerchiamo di dire qualcosa ma ci ritroviamo ad aver detto qualcos’altro.
La cesura imposta dalle avanguardie moderne ha determinato uno smarrimento dell’etimo originale delle parole-contenuto. Ma spesso anche molta architettura postmoderna ha banalizzato la storicità che costruisce il linguaggio, proponendo un uso feticista di vocabolari del passato. Confondendo la storicità di sensi e significati delle parole, molta architettura postmoderna si è così smarrita nella distrazione e nell’intrattenimento. Mentre, quello che desideravo sviluppare attraverso questo progetto, era un ritorno ad un uso più responsabile delle parole del passato. Un arco, ad esempio, possiede una funzione sacrale perché esso è la rappresentazione antropomorfa del fallo. Secondo Jung, il fallo rappresenta il ‘futuro’,[3] quell’idea-possibilità di proiettarsi-progettarsi nel futuro. Quindi, l’arco in architettura è un potente segno culturale, antropologico e psicologico, che domanda rispetto e devozione.
La lettura di Jung sulla rappresentazione delle immagini primordiali o archetipi, spiega che queste figure abitano la nostra Psiche da tempi immemorabili e che quindi ricorrono in diverse civiltà. Esse non sono il prodotto di una singola civiltà, ma il risultato di milioni di anni di esperienze incastonate nei nostri geni. Sono quegli infiniti riferimenti a cui allude una volta rustica e la sua doratura.
Oggi, l’oro è associato ai gioielli ed alla ricchezza materiale, ma nel passato possedeva un altro significato. Secondo Jung, il processo alchemico della pietra filosofale che conduceva all’oro, era la proiezione inconscia di una istanza di trasformazione spirituale e quindi psicologica.[4] L’oro nelle chiese è ricorrente. Le chiese non parlano solo della divinità cristiana. Le chiese possiedono questa forza di rendere la Psiche una realtà sensibile. Noi creiamo quindi spazi per dare voce a contenuti psicologici. E la cosmologia di una volta dorata è già presente nella nostra Psiche.
Dopo le acquisizioni della ‘Psicologia del Profondo’ possiamo quindi rileggere e reinterpretare la fenomenologia del sacro in un modo diverso. Questi contenuti non riguardano esclusivamente la religione, ma provengono dalla Psiche che cerca di proiettare i suoi contenuti nascosti in uno spazio sensibile esterno.
Una certa dissonanza tra il grigio-pietra e la doratura, mutata anch’essa dagli spazi sacri bizantini di Roma, si ripropone qui nel progetto dell’Off Club. L’incidenza della luce conferisce valori di luminosità differenti tra le due cromie, distinguendo i due campi del sotto e del sopra. Questo contrasto è semplice, ma nello spazio diventa potente perché conferisce al soffitto una sensazione di alterità, di distanza, come se esso fosse posto in un’altra realtà. Marius Ioan Frunzà, uno dei muratori che ha costruito il progetto, guardando il soffitto appena dipinto esclamò: “sembra il Paradiso.”
Il nero era il colore dello schermo-iconostasi nella visione iniziale. Durante il processo, ho deciso di impiegare una pittura nera lucida, dando così impressione che lo schermo non fosse solido, ma un riflesso attraverso cui vedere il soggetto. E questo, dopotutto, era anche l’argomento principale del progetto. Quella forma che abbiamo prima vista rivestita di bianco, adesso appare trasformata dal colore. Il colore è un materiale, attraverso cui con mezzi ristretti ogni singola parola di architettura può cambiare di senso.
Un elemento ricorrente nella pittura bizantina è quello di un grande vuoto nero su una superficie dorata. Non conosco il significato di questa ricorrenza, ma desideravo includerla nel progetto. Così, attraverso questa tecnica pittorica ho modificato lo spazio senza cambiarlo nei volumi. Una sagoma arcuata incavata nello spessore del soffitto aureo, corona la facciata di dietro della miniatura-palazzo. Questa sua superficie è stata dipinta di nero lucido. Resa riflettente, attraverso i rimandi della prospettiva si ha quasi l’impressione che lo spazio continui oltre il soffitto. Come in un teatro, questa illusione di vedere un’altra architettura è solo una percezione dei sensi. Essa continua nella veduta centrale dall’ingresso al primo piano, smaterializzando il soffitto sopra il banco-bar. Non volevo ritrarre lo spazio com’era misurato, ma volevo innestare un senso di ambiguità percettiva: la sensazione che al di là della finestra, vi fosse un cielo che svaniva nel buio.
Il rilevamento postumo: il tempio nel recinto sacro
Il modo attraverso cui rappresentiamo l’architettura, è parte del discorso dell’architettura. Quando l’idea è divisa dalla sua rappresentazione, il senso interiore di un progetto va perduto. Riprendendo fotograficamente con un dispositivo mobile l’Off Club durante i lavori di costruzione, cercavo quindi la sua possibile identificazione. Come avrebbe dovuto esistere nella realtà? Non parlo della realtà del fabbricato, ma quella di una possibile rappresentazione, attraverso la quale trasmettere il progetto al mondo.
Secondo Jung, “gli archetipi, nella misura in cui possiamo osservarli e sperimentarli, si manifestano solo attraverso la loro capacità di organizzare immagini ed idee, e questo è sempre un processo inconscio che non può che essere rilevato a posteriori.”[5] Così, questa idea di ricerca di un immagine finale è anche stato un tentativo di identificare l’immagine primordiale che il progetto voleva rappresentare: quella del mandala di un tempio velato da uno schermo, dentro un recinto sacro.
Note
- ^ Carl Gustav Jung, Tipi Psicologici [1921], Bollati Boringhieri, Torino, 2011, pp. 320-322.
- ^ Martin Heidegger, Lettera sull’Umanismo [1949], Adelphi, Milano, 1995, p. 31.
- ^ Carl Gustav Jung, The Black Books of C.G. Jung (1913-1932), cur. Sonu Shamdasani, Stiftung der Werke von C.G. Jung & W.W. Norton & Company, 2020, vol. VI, p. 226.
- ^ Carl Gustav Jung, Psicologia e Alchimia [1944], Bollati Boringhieri, Torino, 2006, p. 27.
- ^ Carl Gustav Jung, ‘Riflessioni teoriche sull’essenza della psiche’ [1947/1954], Opere, vol. 8, Bollati Boringhieri, Torino, 1976, p. 231.
Poster ‘Antonino Cardillo’ parte della serie di conferenze Inside/Out del Royal College of Art. Disegno grafico: James Watts